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Trasferimento di ramo d’azienda, i requisiti di legittimità

26 Marzo 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

La sussistenza della fattispecie tipica del trasferimento di ramo d’azienda (art. 2112 c.c.) richiede la verifica dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza di esso, nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente, anteriormente alla cessione (Corte di Cassazione, sentenza 16 marzo 2021, n. 7364),

Una Corte di Appello territoriale, confermando la pronuncia di primo grado, aveva accolto le domande di alcuni lavoratori dipendenti di una Banca, volte ad accertare la perdurante sussistenza di detti rapporti di lavoro e l’illegittimità/inefficacia della successione in tali rapporti (ex art. 2112 c.c.) di una diversa Società, in esito alla cessione da parte della Banca del ramo d’azienda cui i lavoratori erano addetti.
Ad avviso della Corte di merito, non si era realizzato il trasferimento del ramo d’azienda, perché doveva escludersi l’autonomia funzionale del predetto ramo.
Avverso la sentenza propongono così ricorso in Cassazione la Banca e la Società cessionaria, lamentando essenzialmente che la Corte distrettuale avesse assunto una errata nozione di “autonomia” del ramo aziendale, da intendersi non come “autosufficienza” imprenditoriale della frazione ceduta, nonché prospettato la necessaria preesistenza del ramo ceduto.
Per la Suprema Corte i motivi di ricorso di entrambe le società non possono trovare accoglimento.
In via pregiudiziale, infatti, l’accertamento in concreto dell’insieme degli elementi fattuali idonei o meno a configurare la fattispecie legale tipica del trasferimento di ramo d’azienda (art. 2112 c.c.), implica prima una individuazione ed una selezione di circostanze concrete e poi il loro prudente apprezzamento, traducendosi in attività di competenza del giudice di merito, cui non può sostituirsi il giudice di legittimità (da ultimo, Corte di Cassazione, sentenza n. 6649/2020).
Nel merito della questione, invece, la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 13068/2005). Detta nozione è coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE), secondo cui è considerato come trasferimento quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.
Tanto premesso, rappresenta elemento costitutivo della cessione, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (Corte di Cassazione, sentenza n. 11247/2016).
Di qui, la sentenza d’appello aveva correttamente escluso l’operatività dell’art. 2112 c.c., per la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo.
D’altro canto, il fatto che sia rimesso al cedente e al cessionario di identificare l’articolazione che ne costituisce l’oggetto, non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina in questione. Tanto più che, in continuità con una tradizionale impostazione, non è consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 8757/2014).
Negli arresti in discorso, poi, non si è disconosciuta la legittimità di cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali oggetto del trasferimento del ramo può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (Corte di Cassazione, sentenza n. 20422/2012). Bensì, è stato confermato il compito del giudice del merito di verificare quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio, così scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto deve essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato (Corte di Cassazione, sentenza n. 11247/2016).
Infine, l’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto deve essere letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza di esso, nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente “anteriormente alla cessione”, poiché l’indagine non deve basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma riferirsi all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto.

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