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Malattia professionale: conta la presunzione del nesso di causalità

9 Dicembre 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

La Corte di Cassazione, con ordinanza 06 dicembre 2021, n. 38659 ha richiamato il principio secondo cui va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, con esclusione del nesso eziologico richiesto dalla legge solo qualora possa essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.

Il caso riguarda un dipendente deceduto con diagnosi di “Adenocarcinoma polmonare in soggetto esposto ad asbesto” e al conseguente diritto dell’erede a beneficiare della rendita ai superstiti di cui all’art. 75 del Testo Unico n. 1124 del 1965, attesa la dipendenza della malattia polmonare contratta dal de cuius a causa dell’attività lavorativa svolta.

La Corte territoriale aveva stabilito che la malattia contratta dal dipendente rientrava per il 29% nel rischio da esposizione ad amianto, dunque non era stata raggiunta quella probabilità qualificata richiesta nel caso di patologia multifattoriale. La considerazione dell’uso di sigarette da parte del lavoratore concorre, inoltre, secondo la stessa Corte d’appello, a costituire una condizione esterna idonea ad abbassare la soglia dell’esposizione ritenuta significativa ai fini dell’esistenza del nesso causale tra la patologia tumorale e l’esposizione all’amianto.

A riguardo, i giudici della Corte hanno già avuto modo di affermare che nel caso di malattia tabellata, la prova dell’eziologia professionale delle malattie contratte nell’esercizio delle lavorazioni morbigene (anch’esse tabellate) si raggiunge applicando un criterio di presunzione legale che non può esplicare la sua efficacia nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso.

Dall’inclusione nelle apposite tabelle, sia della lavorazione che della malattia deriva, quindi, l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico dell’I.N.A.I.L., che si concretizza, in particolare, nell’offrire la prova della dipendenza dell’infermità o da una causa extra lavorativa oppure dall’accertamento che la lavorazione non si è rivelata sufficientemente idonea a cagionare la malattia.

Ciò comporta di conseguenza che, per escludere la tutela assicurativa va accertato, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un fattore patogeno diverso dalla causa professionale, che da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la patologia.

Dalla malattia tabellata si differenzia la patologia dichiarata ad eziologia multifattoriale: in tal caso, l’applicazione del criterio presuntivo, sì come desunto da ipotesi tecniche teoricamente possibili, subisce un’attenuazione, nel senso che la prova del nesso causale non può basarsi su presunzioni semplici, ma è data per raggiunta sol quando la parte interessata al riconoscimento della tutela, abbia concretamente e specificamente offerto la dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso.

Diverso è il caso in cui la malattia ad eziologia multifattoriale include una patologia tumorale la quale, secondo la scienza medica, ha o può avere origine professionale; in tal caso si determina una qual reviviscenza della presunzione legale quanto all’origine professionale della patologia, sicché, l’assenza del nesso causale della cui rilevanza probatoria è gravato l’ente assicuratore, resta ulteriormente circoscritto alla prova che la patologia tumorale, per la sua rapida evoluzione, non è ricollegabile all’esposizione alla sostanza morbigena, perché questa cessata da lungo tempo.

Nel caso di specie, la Corte territoriale, riportandosi alla sentenza della stessa Corte d’appello di Genova n.109 del 2016, riguardante analoga fattispecie, si limita a sterilizzare la causa del tumore polmonare dall’agente patogeno “azione di fibre di asbesto”, la cui associazione è, invece, pacificamente accolta dalla scienza medica (voce 57 della Tabella D.M. 9.04.2008), trincerandosi dietro la qualificazione della malattia come ad eziologia multifattoriale, con l’esito di ribaltare l’onere della prova del nesso causale in capo al lavoratore.

Di contro, attuando i principi affermati da questa Corte, nel caso di morte del lavoratore per tumore, il criterio della presunzione legale della natura professionale dell’evento morbigeno, che, come si è già detto, subisce un “temperamento” sul piano probatorio solo nelle patologie a causa multifattoriale, in tal caso rivive, quanto meno nel senso che sarà l’ente assicuratore onerato ad offrire, in concreto, la prova che la patologia, per la sua rapida evoluzione, non è ezioiogicamente ricollegabile alla sostanza nociva, in quanto l’esposizione ad essa è cessata da lungo tempo.

Inoltre, in materia d’infortuni sul lavoro e malattie professionali, i giudici della Corte hanno affermato che trova applicazione la regola dell’art. 41 cod. pen., con la conseguenza che il rapporto causale tra l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni.

Secondo tale principio va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, con esclusione del nesso eziologico richiesto dalla legge solo qualora possa essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.

Nel caso in esame, l’intervento del suddetto fattore estraneo all’attività lavorativa, ossia l’abitudine al fumo del lavoratore è oggetto di un mero richiamo, in motivazione, alle valutazioni della consulenza tecnica, ove sono astrattamente riportati gli studi scientifici sull’effetto sinergico tra fumo di tabacco e amianto nell’indurre il tumore polmonare, seguìto dalla precisazione, formulata ancora in via generale, che tale effetto si verifica soltanto nel caso di esposizione significativa all’amianto, ossia quando il valore – soglia supera il livello medio di 25 fibre/m1 – anni.

Nel caso in esame, afferma la Corte territoriale, non essendosi determinata un’esposizione significativa all’amianto, il concorso della fonte di rischio esterna (assunzione di tabacco) non può aver prodotto quell’effetto sinergico tale da far dichiarare sussistente il nesso eziologico tra l’attività lavorativa e l’insorgere della malattia.

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