In caso di violazione dei criteri di scelta, l’annullamento del licenziamento collettivo non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati, bensì solo da chi non sarebbe stato ricompreso nella platea dei destinatari dell’atto espulsivo ove la violazione non fosse stata realizzata. Ciò perché l’azione di annullamento, a differenza di quella di nullità, presuppone un interesse qualificato e richiede che il vizio abbia avuto incidenza determinante nell’adozione dell’atto contestato (Corte di Cassazione, sentenza 24 maggio 2021, n. 14198) Un Tribunale aveva ritenuto fondata la censura di un lavoratore avverso il licenziamento collettivo intimatogli da un Ente di formazione, relativamente all’applicazione dei criteri di scelta. In particolare, veniva evidenziato che il lavoratore era stato assegnato anche a corsi di riparazione di veicoli a motore e, quindi, non era da considerare esuberante la sua professionalità, poichè l’ente si era impegnato a “salvaguardare i formatori in grado di prestare la loro opera nei corsi professionali ancora operativi”.
Successivamente, la Corte d’appello ha invece riformato la sentenza del Tribunale, rilevando che la violazione dei criteri di scelta può essere utilmente fatta valere dal lavoratore, solo nel caso in cui il medesimo sia stato concretamente pregiudicato dall’illegittima applicazione dei criteri di selezione, evenienza questa non riscontrata nella fattispecie perché nell’ambito del profilo professionale “formatori settore meccanico”, era preceduto da due lavoratori dello stesso profilo, in relazione al quale era previsto un esubero.
Per la cassazione della sentenza propone così ricorso il lavoratore, sostenendo che, una volta accertata la violazione dei criteri di scelta, il giudice del reclamo non poteva ritenere legittimo il licenziamento, in quanto il principio di diritto affermato si riferisce a fattispecie verificatesi in epoca antecedente alla Legge n. 92/2012 e non è più attuale.
Per la Suprema Corte il motivo è infondato. Correttamente, il giudice del reclamo ha deciso la controversia sulla base del principio di diritto affermato in sede di legittimità, secondo cui, in caso di violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati, bensì solo da chi non sarebbe stato ricompreso nella platea dei destinatari dell’atto espulsivo ove la violazione non fosse stata realizzata. Ciò perché l’azione di annullamento, a differenza di quella di nullità, presuppone un interesse qualificato e richiede che il vizio abbia avuto incidenza determinante nell’adozione dell’atto contestato (da ultimo, Corte di Cassazione, sentenza n. 13871/2019).
Il richiamato orientamento non ha perso attualità a seguito della riformulazione dell’art. 5, co. 3, della L. n. 223/1991 perché il Legislatore, che in precedenza aveva espressamente qualificato annullabile il licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta, nell’adeguare le tutele al nuovo regime stabilito dall’art. 18 della L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012, per la violazione dei criteri di scelta ha rinviato al comma 4 del testo modificato, confermando così la precedente qualificazione del vizio ed escludendo che lo stesso possa essere ritenuto causa di nullità del recesso (Corte di Cassazione, sentenza n. 4409/2021).