Ai fini della spettanza delle agevolazioni, il diritto di precedenza alla riassunzione di lavoratori licenziati, può dirsi violato laddove vi siano nuove assunzioni decise dall’imprenditore nella “stessa qualifica” dei licenziati, da intendersi come sostanziale coincidenza tra le professionalità di cui l’azienda abbisogna e quella posseduta da questi ultimi. Parimenti, ai fini del risarcimento del danno al lavoratore, la responsabilità del datore è esclusa solo se questi provi l’assoluta inevitabilità della scelta, sotto il profilo delle professionalità peculiari da acquisire all’azienda ovvero dell’impossibilità di procedere alla stipulazione di contratti dei quali potrebbero essere parti gli ex dipendenti (Corte di Cassazione, ordinanza 15 aprile 2021, n. 9913) La vicenda giudiziaria nasce dall’opposizione presentanta da una Società avverso l’avviso di addebito emesso dall’Inps per il recupero di sgravi contributivi di cui la società aveva beneficiato per l’assunzione di un lavoratore e che l’Istituto assumeva non spettanti per la violazione del diritto di precedenza riconosciuto ad un altro lavoratore, licenziato nei 6 mesi precedenti.
Al riguardo, la Corte d’appello territoriale aveva rilevato che il diritto di precedenza alla riassunzione (ex art. 15, L. n. 264/1949) sorge all’atto del licenziamento e che da questo momento decorre il termine di 6 mesi per l’esercizio dello stesso.
Altresì, i giudici di appello avevano riconosciuto che, data la natura inderogabile della disciplina previdenziale, la rinuncia preventiva al diritto di prelazione, se pure valida nei rapporti tra privati, non è opponibile all’Inps, con la conseguenza che il datore di lavoro, nei 6 mesi precedenti la nuova assunzione, deve comunque offrire il posto al dipendente licenziato. Ciò nonostante, il diritto di precedenza non doveva ritenersi operante perché il lavoratore licenziato e quello neo-assunto erano inquadrati in livelli diversi ed addetti a mansioni differenti per contenuto e tipologia.
Avverso la sentenza ricorre così in Cassazione l’Inps, lamentando violazione e falsa applicazione della legge (art. 31, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 150/2015), per aver la Corte di merito ritenuto necessario il requisito della identità dei profili e delle mansioni.
Per la Suprema Corte il ricorso è fondato.
In relazione al diritto di precedenza alla riassunzione, riconosciuto ai lavoratori licenziati per riduzione di personale (art 15, L. 29 aprile 1949, n. 264), il datore di lavoro che assuma lavoratori diversi da quelli licenziati, entro il suddetto termine semestrale, riferito alla stipulazione di relativi contratti, può sottrarsi alla responsabilità per inadempimento (art. 1218 c.c.) ed al conseguente obbligo di risarcimento del danno, solo ove fornisca la prova della assoluta inevitabilità della scelta, sotto il profilo delle professionalità assolutamente peculiari da acquisire all’azienda ovvero della impossibilità di procedere alla stipulazione di contratti dei quali potrebbero essere parti gli ex dipendenti (Corte di Cassazione, sentenza n. 14293/2002).
Orbene, il principio, seppur riferito al caso di domanda di risarcimento danni per violazione del diritto di precedenza, assume portata di carattere generale, anche con riferimento alla condizione della insorgenza del diritto di precedenza. Questa, infatti, richiede che si tratti di nuove assunzioni decise dall’imprenditore nella “stessa qualifica” dei licenziati, da intendersi realizzata quando vi sia sostanziale coincidenza tra le professionalità di cui l’azienda abbisogna e quella posseduta da questi ultimi.
Del resto, sarebbe irragionevole e non conciliabile con la ratio delle disposizioni in tema di diritto di precedenza, interpretare l’espressione “stessa qualifica” come identità di livelli di inquadramento formale; la ratio di dette disposizioni è, infatti, individuata attraverso il riferimento al “principio dell’assoluta preminenza dell’interesse al posto di lavoro dei dipendenti coinvolti nella vicenda di riduzione di personale”.