In caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, pur permanendo di diritto l’originario rapporto subordinato del lavoratore con l’impresa cedente, si ha l’instaurazione, in via di fatto, di un nuovo e diverso rapporto con il soggetto già (e non più) cessionario, con conseguenti effetti giuridici ed obblighi in capo al soggetto che concretamente ha utilizzato la prestazione lavorativa, tra cui l’esclusiva responsabilità per l’eventuale adibizione del lavoratore ceduto a mansioni inferiori (Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 2021, n. 13787) Una Corte d’appello territorale confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da un lavoratore, passato alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, a seguito di cessione di ramo di azienda, poi invalidata. La domanda era rivolta far accertare il demansionamento subito presso il cessionario a far data dal trasferimento e ad ottenere la condanna in solido alla corresponsione del conseguente risarcimento dei danni, anche della società cedente.
Avverso la sentenza propone così ricorso in Cassazione la società cedente, lamentando l’erronea condanna solidale delle società per l’intero periodo, gravando la responsabilità del demansionamento sul soggetto utilizzatore delle prestazioni, che aveva il potere di assegnare le mansioni ed aveva utilizzato il lavoratore in attività non coerenti con la sua professionalità.
Per la Suprema Corte il ricorso è fondato.
In caso di invalidità di trasferimento di azienda accertata giudizialmente, il rapporto di lavoro permane con il cedente e se ne instaura, in via di fatto, uno nuovo e diverso con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici e, in particolare, la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale. Di qui, per l’ipotesi di demansionamento, la responsabilità deve essere imputata al cessionario e non anche al cedente (Corte di Cassazione, sentenza n. 21161/2019).
In sostanza, accanto al rapporto di lavoro quiescente con l’originaria impresa cedente, ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento, vi è una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, ha instaurato un rapporto di lavoro in via di fatto. Tale rapporto è comunque produttivo di effetti giuridici e quindi di obblighi in capo al soggetto che in concreto utilizza la prestazione lavorativa del ceduto nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale, tra i quali anche quello che discende dall’operatività del divieto di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, sicché l’eventuale violazione della relativa disposizione normativa (art. 2103 c.c.) non può essere imputata al cedente che in concreto non utilizza la prestazione lavorativa.